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4 Aprile 2014

Il Monasterio che porta seco una meraviglia…

Di Redazione

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Uno dei gioielli architettonici di Napoli, la Certosa di San Martino, trasforma le memorie di un glorioso passato in un patrimonio culturale sopravvissuto nei secoli.

di Mattia Albertazzi –  Delle bellezze artistiche di Napoli non si finirebbe mai di scrivere, tanto ne è ricca la città. Una di queste è certamente l’antica Certosa di San Martino, sottratta ai monaci nel 1861, all’indomani dell’unità d’Italia, e dichiarata monumento nazionale nel 1886. La sua apertura al pubblico, all’inizio del 1867, stimolò da subito una grande affluenza di visitatori, tanto che la Certosa ottenne poco dopo lo status di Museo Nazionale.Si realizzò così il sogno dell’illustre archeologo e Soprintendente di Napoli Giuseppe Fiorelli, il quale si era proposto di salvare dal degrado l’intera Certosa con il suo straordinario patrimonio artistico – che già di per sè costituiva un gioiello dell’arte napoletana – ma anche di conservare ed esporre nei grandi spazi vuoti quante più testimonianze della produzione artistica, culturale e folkloristica di Napoli e del suo regno.

L’impostazione originale permane ancora oggi, così che i visitatori possono approfondire contemporaneamente la conoscenza di due diversi aspetti: da un lato, la vita monastica che si svolgeva nella chiesa e negli ambienti connessi (Sacrestia, Tesoro, Capitolo, Chiostri, Refettorio) e dall’altro l’insieme di innumerevoli testimonianze relative alla civiltà e alla storia di Napoli. E’ merito dell’ultimo allestimento – avvenuto tra il 2000 e il 2002 con qualche ulteriore intervento negli anni successivi – l’aver migliorato con un esemplare restauro architettonico sia le strutture certosine, sia il rapporto che esse hanno con la città e il panorama, visibili da loggiati, belvedere e giardini. L’edificio costituisce un unicum, infatti, posto com’è sul punto più alto di una collina, protetta alle spalle da un forte militare (Sant‘Elmo) e bene in vista dalla città e dal suo mare, come volle nel 1325 il suo fondatore, Carlo di Calabria, figlio di re Roberto d’Angiò. La chiesa, consacrata nel 1368, venne dedicata a San Martino vescovo di Tours, a San Bruno fondatore dell’ordine certosino, alla Vergine e a tutti i Santi. Delle strutture medievali, iniziate dal grande scultore e architetto Tino di Camaino, si conservano tracce nella Chiesa e nei sotterranei gotici; in seguito, dopo alcuni interventi nei secoli XV e XVI, iniziò, alla fine del ‘500, per tutto il ‘600 e in parte nel ‘700, un periodo di continui arricchimenti e aggiornamenti dell’intero complesso monumentale, compresi orti e giardini. Oggi sono evidenti, quindi, gli interventi dell’architetto Dosio, del geniale Fanzago – protagonista assoluto tra 1623 e 1656 dell’evoluzione in senso barocco della chiesa e degli ambienti annessi, di Niccolò Tagliacozzi Canale, di pittori come Corenzio e il Cavalier d’Arpino, Caracciolo e Stanzione , Lanfranco e Ribera, Micco Spadaro e Andrea Vaccaro, Luca Giordano e Solimena, De Matteis e De Mura. Nonchè di scultori quali Pietro Bernini, Domenico Antonio Vaccaro e Giuseppe Sammartino. Per quanto riguarda le raccolte museali, accresciute nel tempo grazie ad acquisti ministeriali e numerosi doni e lasciti da parte di privati e collezionisti, il cuore dell’allestimento è la collezione di immagini e memorie delle città e del regno. Essa è collocata nel cuore più interno del complesso, il Chiostro Grande, corredata da altre sezioni che sviluppano aspetti specifici per tematiche e per tecniche, come la Sezione Presepiale o la Sezione Navale.

E’ suggestivo, infine, sapere che i visitatori di oggi ripercorrono gli stessi luoghi che già nei secoli passati costituirono la meta prediletta di letterati, eruditi e viaggiatori. Scriveva, infatti, sul finire del ‘600 il canonico Carlo Celano, autore della più celebre guida di Napoli: “Monasterio che più grande, più nobile, più delizioso e più ricco si stima che trovar non se ne possa in Italia … ogni cosa… porta seco una meraviglia …hanno una famosa loggia detta il Belvedere, dalla quale si scorge tutta la nostra città e tutto il nostro Posillipo, e da questa con un semplice cannocchiale, si può osservare quanto si fa nella Piazza di Palazzo.’’

 

 

 

 

 

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