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26 Gennaio 2015

Consumo o piacere dell’Arte?

Di Redazione

estasisantacecilia

Gentile polemica a margine di quelle polemiche sulle mostre ‘di consumo’, in previsione della mostra bolognese ‘da Cimabue a Morandi’ 

Gian Luigi Zucchini   –  Ci si sta avvicinando alla fatidica data del 14 febbraio, quando a Bologna si aprirà la mostra “da Cimabue a Morandi”, curata da Vittorio Sgarbi. L’annuncio, dato a suo tempo dallo stesso Sgarbi in una conferenza stampa a Bologna, suscitò a sorpresa proteste furenti del pur mite prof. Benati, presidente di Italia nostra, sezione di Bologna, corredate da un manifesto firmato da molti accademici e critici, in cui si chiedeva addirittura al ministro dei Beni Culturali on. Franceschini di impedire l’apertura ell’esposizione.

Le ragioni addotte erano quelle già da tempo ricorrenti, e cioè che le opere meno si spostano e meglio è. Debbono stare, si dice, nei musei,protette e salvaguardate da eventuali incidenti. In più si aggiungevano altre considerazioni, tra cui la delusione, per chi viene a Bologna a visitare la Pinacoteca, di non trovarvi la ‘Santa Cecilia’ di Raffaello, peraltro esposta – e per pochi mesi soltanto – a qualche centinaio di metri. Stessa cosa per altre opere, che saranno in visione nella mostra. 

Si potrebbe rispondere che la ‘Madonna in trono con Bambino’ di Cimabue, ad esempio, sta pressoché nascosta in una cappella molto buia nell’abside della chiesa dei Servi, e ben pochi vanno lì appositamente per vederla; e che il quadro che rappresenta gli scaffali di una biblioteca, stupenda opera settecentesca del Crespi, si trova nella biblioteca del Conservatorio di Musica di Bologna, che non è luogo certamente di visite turistiche. Ma non è questo l’argomento che mi preme affrontare, quanto la funzione e il conseguente modo di pensare ed organizzare mostre. Mi pare che per ora ci siano, su questo piano, sostanzialmente due finalità, con obiettivi diversi: il primo dei quali è di far conoscere, attraverso una mostra, l’opera di un pittore, o di un’epoca, mediante un meditato studio scientifico dei dipinti o dei disegni, con correlazioni, confronti, richiami ad opere precedenti e a situazioni storico-culturale, e così via;  l’altro obiettivo è invece quello di pensare una mostra in funzione della diffusione, anche talvolta molto popolare, delle opere d’arte, per farne apprezzare la bellezza o, come meglio si potrebbe dire, il piacere della visione. Naturalmente questo secondo orientamento richiede qualche linea di comportamento esteticamente corretto: quindi opere di buona qualità, nomi di artisti prevalentemente famosi, e un filo conduttore che, a volte, può essere intelligentemente individuato e proposto con interesse, altre volte può risultare purtroppo fragile o forzatamente imposto. Naturalmente queste due visioni si scontrano tra loro, dividendo i sostenitori dell’una o dell’altra in due campi opposti. Lo scontro, o comunque lo smantellamento verbale dell’una o dell’altra posizione non fanno, a mio parere, un buon servizio all’arte.

Nel primo caso, una mostra anche raffinata e scientificamente ben organizzata, ottiene di solito successo di critica ma assai meno di pubblico, a meno che non si tratti di un nome famoso; in questo caso, si va più per il nome che per lo studio delle opere. E comunque, una mostra, diciamo così, di studio, è certamente utile e positiva, ma  – diciamo così – interessa particolarmente chi è già in sintonia con il mondo artistico, o ne è in qualche modo attratto, mentre poi favorisce indubbiamente la ricerca e la sempre migliore conoscenza degli artisti, dei loro lavoro e della loro epoca.

Nel secondo caso, si hanno mostre un obiettivo ben diverso. Mi parrebbe ingiusto e irriverente chiamare questi eventi, come molti hanno fatto e fanno anche recentemente, mostrepanettone, o ‘mostre pigliatutto’ o anche biasimarli perché, si dice, finalizzati al facile consumo o ad un probabile successo economico. Indubbiamente ci sono mostre realizzate alla carlona, con dipinti purchessia messi lì tanto per far numero ed effetto. Di quelle non si discute nemmeno. Occorre invece discutere di quelle mostre dove, seguendo un intento preciso o un filo ideale, si espongono opere ed anche capolavori di ogni tempo e di ogni epoca, secondo modalità diverse che – prima d’essere sommariamente criticate o derise – andrebbero per lo meno verificate nelle cosiddette ‘ricadute’ non tanto di affluenza di pubblico, quanto soprattutto di interesse, di scoperta, di ‘piacere della visione’, appunto. Questo è un aspetto, purtroppo, che non è dato verificare. Ma la sempre maggior attenzione e il sempre maggior numero di persone che si accalca alle mostre non potrebbe forse essere frutto di questa costante proposta di suggestioni artistiche? E non potrebbe essere che la conoscenza che molti cominciano già ad avere dell’arte e degli artisti anche meno famosi sia dovuta a questo tipo di mostre, dette con spregio ‘di consumo’?  A me, che vado da una vita in giro per il mondo a vedere musei e centinaia di mostre, diverse esposizioni ‘di consumo’ non dispiacciono affatto. E, andando a vederle, mi rilasso, spesso anche mi diverto, e quasi sempre imparo qualcosa: ad esempio, nomi ed opere di artisti americani o cinesi o norvegesi o danesi prima mai visti né conosciuti. Un esempio? Vidi una volta un quadro del danese Vilhelm Hammershøi in una mostra su paesaggi ed interni, un po’ di tutto, dal Sei al Novecento, ma questo artista mi colpì. Non lo conoscevo, e quando vidi poi, nel 1997, una sua mostra, al Musée d’Orsay, ne fui affascinato. Un Morandi del Nord, un freddo, intimo, solitario maestro del silenzio. Bé, talvolta nelle mostre ‘di consumo’ alla Goldin, capita anche questo. Perché dunque dolersene?

 

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