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7 Luglio 2014

I disastri della vecchiaia nei nudi di Alessandro Papetti

Di Redazione

05 - Alessandro Papetti

Gian Luigi Zucchini –     È aperta dal 7 giugno, e chiude il 7 settembre, la mostra di Alessandro Papetti allestita a Perugia nelle sale del Palazzo della Penna, dal titolo “La pelle attraverso”, corredata da uno splendido catalogo a cura di Luca Beatrice (Silvana editoriale). Il tema è il corpo, e sembrerebbe davvero una pressoché noiosa ripetizione di quanto, nei secoli, si è rappresentato su questo argomento. Sembrerebbe, ma non è così, anzi è tutto il contrario. Innanzitutto, niente erotismi e pruriti vari: qui il corpo non allude all’eros, comunque lo si guardi. Forse alla bellezza ideale, come i Greci? Neppure. E poi, niente accademie e nudi in posa, niente muscoli e cosce ardite, a seni un po’ talvolta cadenti ma comunque solidissimi, e niente disfacimenti dei volti e dei corpi, in turbate scomposizioni come in Bacon o in certo Picasso. Allora, che cosa resta? La pelle, appunto, che copre il corpo: non colorita e leggiadra, come piaceva alla Rosalba Carrera, o voluttuosa e massimamente espressionista come in Warhol, ma screziata, abbruttita, immalinconita. Una pelle che copre corpi vecchi, ossuti, obesi talvolta: pance cadenti, nasi adunchi, occhi come appassiti dentro volti appena tracciati, visti come di sfuggita, seni abbondantemente ridondanti e molto sfasciati. Siamo quasi vicini a Lucien Freud, ma ci si deve subito contraddire, perché Freud delineava la caducità della carne umana con un senso di pesantezza e di analitica descrittività che era quasi repellente, mentre Papetti sfiora la vecchiaia con un senso di fuggevole pena, e di penosa e pensosa tristezza Già è la traccia del pennello che scorre tribolata e rapidissima sul foglio, come è costume di questo artista, ma anche le allusioni, che talvolta appaiono, sono di desolato smarrimento. In “Presunta certezza” ad esempio, un vecchio, appesantito dagli anni che procede curvo verso un ignoto, viene poi ripreso in forma di scheletrica parvenza: un ectoplasma, quasi, da cui si intravede però chiaramente il teschio, come a dire che l’ignoto verso il quale l’uomo cammina è vicino, e le presunte certezze non sono più solo presunte ma reali. Si approssima per tutti, comunque, la fine, e questa serie di pitture che Papetti espone a Perugia ne sono la perfetta, decadente e dolente rappresentazione.

Poi la sensibilità profonda del pittore ha tracciato queste figure con la capace sicurezza di un maestro. Il segno è quello consueto, rapido e fuggente; l’impianto dell’opera è figurativo, ma di una modernità assoluta. Non si disdegnano citazioni del dripping alla Pollock (in “Brevità di percorso” 2014) o, talvolta, grovigli alla Giacometti (in “Pelle”), ma il segno, il gesto pittorico, la rapida incursione del colore che sfugge lasciando labili tracce dentro gli involucri delle forme sono sue, di Papetti, che ritengo possa davvero essere considerato, dopo questa e le altre recenti mostre, uno degli artisti più importanti e significativi del nostro tempo: per la carica umana innanzitutto, che riesce a trasmettere sempre nei suoi lavori; poi per la forza con cui, restando coerentemente nell’ambito figurativo, promuove innovazioni ed originali esperienze visive (si vedano, in questa mostra, i suggestivi notturni); infine, per i significati profondi del suo percorso espressivo. L’arte ancora può e sa parlare. Una sfida non da poco, oggi.

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