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15 Febbraio 2018

Idee, emozioni, affetti nelle più recenti pitture di Didi Fonti

Di Redazione

soldGIAN LUIGI ZUCCHINI – I frammenti della realtà sono sparsi sulla tela con invenzioni cromatiche apparentemente senza alcun significato. Ma intanto notiamo subito, in queste più recenti opere della pittrice bolognese Didi Fonti, un ordine compositivo che induce a pensare come queste inconsuete macchie cromatiche, spesso informi o larvatamente allusive, possano essere frutto di una più profonda e seria indagine razionale e/o emotiva. In altre parole, dietro queste composizioni pur gradevoli alla visione, esiste un progetto o sono soltanto mosaici di piacevole effetto cromatico?

Si dovrebbe dedurre che il progetto esiste, altrimenti, perché mai comporre in ben limitati e precisi spazi colori senza forma? Ma davvero senza forma? Ecco, a ben guardare, talvolta da alcune forme si intuiscono situazioni, oppure allusioni, evocazioni di immagini, o piuttosto sensazioni.  Vediamo, ad esempio, una composizione elaborata tra forme gialle e nere, in contorte espressioni, e da talune indicazioni larvatamente falliche si intuisce che si tratta di un drammatico richiamo allo stupro. Qualcuno, vedendo il lavoro, apprezza, ma potrebbe anche chiedersi perché non dipingere proprio l’atto, magari adombrato da qualche diversivo figurativo. Sarebbe stato più chiaro e leggibile. Ma lo scopo dell’artista non era quello di rappresentare un atto, ma di colpire con l’idea stessa dell’atto, e della  sua drammatica conseguenza sulla vittima: e i segni simbolici di questa situazioni sono enunciati infatti non solo dal contrasto violento tra i colori (giallo e nero), ma dal modo stesso di comporli sulla tela. Quindi, si tratta di una pittura di idee, che in questo caso evocano lo strappo, la lacerazione, il disagio profondo e soprattutto interiore della vittima proprio attraverso l’intreccio cromatico ed apparentemente informale dell’intera composizione. Ancora un altro esempio: una serie di colori, che dal lieve e sereno effondersi sulla superficie si addensano in grumi contorti e poi si affievoliscono con toni sempre meno evidenti ma tuttavia abbastanza cupi, in contrasto con i primi iniziali, e questa non è altro che la simbolizzazione della vita, già realizzata nel tempo da altri artisti. Come? Vediamo, con due esempi: Giorgione, nelle tre età dell’uomo, l’opera più ‘metafisica’ tra quelle, tutte ovviamente figurative, dell’arte antica. E Previati poi, nel pieno periodo del simbolismo, dove appunto la simbologia della vita viene espresso da immagini alate, aeree, in contrasti tra levità della luce e grazia della natura, e penosa tristezza della morte, raffigurata da un angelo tra rovi contorti. Sempre però con figure. Infatti, come rappresentare il simbolo, se non materializzandolo in altre dimensioni, come, ad esempio, nel sogno?

Ecco, Didi Fonti ci ha provato, e ci sta riuscendo, non solo con queste opere qui citate, ma anche con altre, di notevole suggestione anche visiva, che sono state offerte alla riflessione di estimatori, di artisti e di semplici curiosi in una recente mostra a Bologna presso la Galleria De Marchi, da dove si auspica che possano compiere un viaggio ben oltre i confini della città, dove peraltro l’artista è già ben conosciuta e decisamente apprezzata.

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