GIAN LUIGI ZUCCHINI – Nanni Menetti espone, insieme a Rosetta Berardi, varie sue opere, che l’artista ha denominato nell’insieme “Sempre più lontano da me”
Personalmente, conosco Nanni da molti anni, da quando cioè si dedicava soprattutto alla poesia, mentre stava dedicando sempre meno tempo alla pittura, che pure realizzava con esiti interessanti, lavorando per lo più su tematiche figurative. All’arte visiva ritornò dopo diversi anni, essendo già docente di estetica all’Università di Bologna ed esplorando con rigore e sistematica razionalità l’ambito dell’espressione e della comunicazione. Il ritorno alla composizione grafica fu determinato, immagino, dall’urgenza di realizzare anche visivamente ciò che l’artista stava elaborando nel pensiero e negli scritti, affidati a saggi e libri di notevole spessore culturale. E in questo primo periodo di ‘ritorno all’arte’, che non era più pittorica né tanto meno figurativa, eseguiva con incalzante urgenza una serie di lavori che denominò ‘microviolenze’. Erano rifiuti, scarti di carte-carbone, che allora si usavano per scrivere a macchina in più copie, e che poi, usate alcune volte, venivano appallottolate e gettate nel cestino. Frasi, idee, concetti, espressioni diverse, finivano così nell’inutile rogo del superfluo. In realtà non era così. Ma nella logica di una considerazione intellettuale, non si poteva non seguire con interesse questo modo nuovo e diverso di eseguire lavori d’arte mediante un materiale fatto di carte sfregiate, scalfite, tormentate, appunto violentate quasi come in uno stupro motivato dall’espressione.
Ma, a questo punto, si faceva strada nell’artista, il bisogno di un ulteriore approfondimento, che consisteva nell’immedesimarsi sempre più nella natura, non rappresentandola, ma utilizzandola per trasformarla poi in una realtà diversa, addirittura una comunicazione, dove è lei, la natura, a parlare, e non più l’artista, Ecco dunque le ‘criografie’, e il titolo dell’ampio scritto con cui Menetti accompagna la mostra: Sempre più lontano da me. Ma non del tutto, commenta Renato Barilli introducendo il catalogo della mostra (Edizioni del Girasole, Ravenna). Ed infatti, Roland Barthes – che Nanni cita nel suo scritto paragonando in qualche modo il suo lavoro al grado zero della scrittura – dopo aver scritto quel testo considerato allora distruttivo (cioè Il grado zero della scrittura), scrisse poi, quasi pentendosi, Il piacere del testo. E in queste ultime criografie di Nanni, quale piacere si può trovare. Quello visivo, ovviamente. Sono opere ricavate dai segni che il gelo lascia sui vetri d’inverno, catturato nei nativi luoghi d’Appennino dove l’autore aveva passato l’infanzia; per cui anche un richiamo alla stagione della creatività, dell’invenzione, della geniale abilità di giocare col nulla, come appunto fa il bambino ricreando col niente il mondo. E Menetti infatti, agendo abilmente come un antico operaio dell’arte, ha trasferito le incrinature del gelo sulla carta e sulla tela, a volte inserendovi discretamente cenni di colore, ed ora lasciando prevalentemente tutto nel bianco: soffusi toni di chiarori e ombre leggere molto spente, dove il segno del gelo emerge nelle sue trame preziosamente geometriche, ed offre una pacata visione di ambienti irreali . Ancora dunque un naturalismo, non più ultimo, come malinconicamente annotava Arcangeli, ma diverso, antico e sempre nuovo, come diceva il Pascoli, innovatore di linguaggi e di idee senza saperlo né volerlo. Una ricerca ed una modalità espressiva che, ci ricorda Barilli concludendo la sua presentazione, pur manifestandosi fuori di noi, ha “pur sempre bisogno del nostro intervento”.
Natura: la carne nel segno, opere di Rosetta Berardi e Nanni Menetti, Galleria FaroArte, Piazzale Marinai d’Italia, 20. Marina di Ravenna; fino al 2 luglio.