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9 Agosto 2016

Aida e Turandot all’Arena di Verona

Di Redazione

Aida_030716_FotoEnnevi_0159LE FASTOSE ESIBIZIONI DELLA FIABA IN MUSICA

Gian Luigi Zucchini  –   Aida e Turandot chiudono, insieme a Traviata (di cui già scrivemmo il 10 luglio su questa rivista on line: www.metemag.com)) Carmen e Trovatore, la stagione operistica di questa estate 2016, che abbina insieme capolavori dei due maggiori musicisti italiani: Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini. I quali hanno affrontato una sfida non facile, cimentandosi in due soggetti entrambi fantasiosi: il primo, con Aida, ha rivestito di musica fastosa e affascinante insieme una bella storia d’amore e morte, su una trama che ha l’apparenza di una leggendo ma in realtà è un bell’esempio di opera che si riferisce ad un Egitto immaginario, una specie appunto di fiaba di ambientazione storica, senza però essere tale. Ci sono le piramidi, le danze arcaiche, i cieli azzurri, le palme e le divinità zoomorfe, che formano la cornice: la sostanza però è l’amore contrastato tra due giovani, che si conclude tragicamente al canto di cantilenanti preghiere. Il secondo, cioè Puccini, si è immerso totalmente nell’invenzione fantastica, prendendo spunto da una fiaba vera e propria, e scrivendo su questa fantasiosa trama una delle più belle partiture del teatro d’opera italiano. Anche qui c’è la morte e c’è l’amore, che muore con Liù, ma dà forza ed energia al finale e conclusivo trionfo dell’amore tra Calaf e Turandot, definitivamente sciolta da una frigidità che, ad un test psicologico, risulterebbe davvero terrificante. Due opere che richiedono regie attente e misurate, per non eccedere in deteriori barocchismi, ma anche intuizioni organizzative non indifferenti. Occorre rendere evidente la maestà della regalità, il fasto delle corti, le scene trionfali o di raduno popolare, per cui si richiede una strategia e un ‘mestiere’ di notevole, accorta qualità. Cosa che in Aida ha ben realizzato l’abile regia di Gianfranco de Bosio,  e in Turandot quella ormai da tempo comprovata di Franco Zeffirelli, maestro di scene, colori, movimenti, luci, ideazioni e spostamenti di masse ed eleganza di costumi. Queste due opere poi sono quanto mai diverse dal realismo drammatico di Carmen, peraltro un capolavoro indiscusso, e dal cupo romanticismo del Trovatore. In Aida e in Turandot vediamo quanto già il Pascoli scriveva, a proposito delle trame d’opera intorno all’aprirsi del nuovo secolo: e chiariva che ormai solo la fiaba, l’immaginario sognante, l’ideazione mistica o fantastica poteva reggere all’innovazione ed al mutamento dei tempi.  Idea quasi profetica, che poi si avvererà in alcune (o in quasi tutte) le opere moderne, che tuttavia vanno sempre più rarefacendosi, determinando la fine irreversibile di un genere che già fin dal Cinquecento cominciò a dare esiti artistici di grande qualità, per trionfare poi nell’Ottocento.

Opere del genere richiedono però, come si detto, qualità di regia e di coordinazione non indifferenti. L’arena di Verona, per il suo palcoscenico amplissimo e per la sua maestosa configurazione, è certamente quello che si presta meglio di ogni altro; e che anche quest’anno abbiamo visto proporsi, nella realizzazione degli spettacoli, con eccezionale gusto scenografico, arricchito dall’abile gioco delle luci, dai costumi davvero fastosi, dall’ottima resa del figuranti e soprattutto del coro. In quanto ai diversi cantanti che si sono succeduti in questo periodo, si deve ribadire, pur con la necessaria varietà di giudizio, la sempre notevole qualità dell’esecuzione, sia per la potenza di voce che per la resa drammatica e di scena. Infine, è d’obbligo segnalare la buona qualità dell’orchestra che, condotta sempre con dignitosa correttezza, ha saputo offrire agli ascoltatori quelle preziosità di raffinatezze (tanto per fare un esempio: il finale di Aida e il coro di invocazione alla luna in Turandot) che purtroppo l’irrefrenabile frenesia dell’applauso ha troncato nel momento più suggestivo, cioè quando il suono lentamente si spegne nel silenzio.

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