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16 Gennaio 2013

Alfredo Protti: un “vero secessionista”

Di Redazione

di Gian Luigi Zucchini – È Vittorio Sgarbi che definisce Alfredo Protti (Bologna, 1882-1949) “un vero secessionista nella Bologna di primo secolo”, perché, aggiunge poi, “credeva  fermamente nella nuova figura dell’artista moderno”. (Cfr. V. Sgarbi, Alfredo Protti, Editoriale Giorgio Mondadori, Milano e Galleria d’Arte 56, Bologna, 1997). La quale consisteva – sempre secondo Sgarbi, ma di cui era profondamente convinto anche lo stesso Protti – nella “ristrettezza di orizzonti intellettuali che l’accademismo novecentesco insisteva ancora a proporre”. Dunque, un antiaccademico, con dentro quello spirito di innovatore che aveva animato i Carracci quando fondarono, nella seconda metà del Cinquecento, l’Accademia degli Incamminati. Ma come? ci si potrebbe chiedere: antiaccademico chi si pone sulla linea di maestri che l’Accademia appunto fondarono?La mostra “Alfredo Protti. Il Novecento sensuale” è aperta a Bologna, Palazzo d’Accursio, fino al 4 febbraio. Informazioni: info@mambo-bologna.org, tel 051 6496611

Sì, perché l’Accademia dei Carracci voleva essere per allora una sede dove si imparava quella che il Vasari aveva definita ‘maniera moderna’; proprio come il Protti che si era ribellato agli schemi consueti di un’istituzione ormai decotta, perdendo nel 1913 un concorso per una cattedra di figura a Perugia. E chissà come avrà dipinto il tema assegnato, che era il mito di Leandro, con quelle idee già allora divergenti! La commissione giudicò infatti il suo lavoro negativo, essendo il soggetto obbligato così lontano dai suoi modi di intendere ed eseguire la pittura fin da allora.

L’artista però continuò a dipingere, con fasi alterne, ma sempre tenendo fede a quel bisogno di rinnovarsi, e nel contempo fermandosi indeciso sulla soglia della rottura definitiva con la tradizione. Fu più aggressivo Corsi, in questo caso. Eppure, anche Protti si avventurò in qualche novità: spesso dissolse la figura in aloni di luce leggera, o dipinse fiori e paesaggi con  una luminosità opaca, un po’ alla Cézanne; ma non uscì dal vincolo del figurativo, né era del resto sua intenzione il farlo. Si concentrò quasi del tutto sulla figura femminile, che dipinse a lungo, muovendosi tra echi di simbolismo, modeste aggressività espressionistiche, rimasugli impressionisti nei pochi paesaggi, ed evocazioni borghesi di salottini con figurine di donne sedute sul divano, o, sempre sul divano, nude però caste e nient’affatto erotiche (nonostante il titolo della mostra insista sulla sensualità), come ad esempio le natiche un po’ cellulitiche in primo piano di alcune signore forse ‘bene’ o forse no, o le molto poppute maternità.

Ma perché mai Protti, oggi, è quasi uno sconosciuto nell’arte bolognese della prima metà del Novecento? Forse perché dipinse, nel 1934, un bel ritratto di Mussolini? O perché illustrò con leggerezza, tra ventagli e ciprie e piumini, le immagini di ‘gigolettes’ (allora si chiamavano anche così) alla luce di lampade velate, in quelle ‘case’ oggi scomparse, dove il nudo affondava in morbidi cuscini e si diffondeva intorno un profumo caldo e pesante, che pare soffocante anche nei colori del pittore? Ma no, non pare proprio! È che Bologna, tranne che con Morandi, ha lasciato morire anche le memorie dei suoi artisti novecenteschi; cosicché, allo straniero che viene in questa città, sembra che qui, dopo il Crespi, che è del Settecento, non ci sia stata vita artistica, se non quella incarnata nell’unico gigante che emerge su tutto. E giustamente Morandi lo merita. Però non merita il silenzio Protti, così come non lo meritano gli altri più o meno noti artisti di quell’epoca bolognese piccolissimo borghese e molto ancora contadina, come Garzia Fioresi, Giovanni Romagnoli, Carlo Corsi, e tanti altri. E del resto, si continua a ignorare da molti che il manifesto futurista di Marinetti fu pubblicato prima di tutti dalla Gazzetta dell’Emilia, il 5 febbraio 1909. Altro che Parigi e ‘Le Figaro’! E neanche a Milano. A Bologna! Eppure, silenzio. E, anche oggi, parecchia insipienza. Ma, diceva Pirandello, “Così è, se vi pare”. Purtroppo.

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