www.fico.it
26 Giugno 2014

Hogarth Reynolds Turner. Pittura inglese verso la modernità

Di Redazione

02-William-Hogarth-Ritratto-di-gruppo-con-Lord-John-Hervey-circa-1738-1740Gian Luigi Zucchini – Rarissime le mostre sulla pittura inglese, e scarsamente conosciuti gli artisti di quel paese. Tranne alcuni contemporanei (Bacon fa sempre effetto nei salotti; però era irlandese), e – in questi ultimi anni – Turner, altri nomi non si sprecano: qualche Constable qua e là, talvolta, e Gainsborough, come raffinata suggestione in talune esposizioni del Settecento. Ecco invece ora, a Roma, un’occasione da non trascurare, cioè la mostra “Hogart, Reynolds, Turner. Pittura inglese verso la modernità”: senza dubbio interessante, e per molti anche abbastanza nuova, nel senso che si potranno vedere tele raramente esposte qui da noi, e conoscere anche, sia pure sommariamente, artisti di cui il grande pubblico conosce a mala pena il nome. Per esempio, chi conosce le incisioni di William Hogarth sulla vita quotidiana londinese verso la seconda metà o fine Settecento? È come veder scorrere una giornata d’altri tempi, assaporando il gusto di una realtà che assomiglia, per esempio, a quella ben rappresentata da Pietro Longhi  sulla vita veneziana del Settecento; ma qui, con altro sapore e altro spessore iconografico, molto antiaccademico, fin da allora, nella pur austera Inghilterra. E ammirando ritratti e paesaggi in mostra, chi non resta perplesso davanti al nome di Wright of Derby? Passi per George Stubbs, appeso lì vicino, di cui bene o male non pochi conoscono se non altro il nome, ma l’altro? Eppure, le opere di questi artisti (e in particolare gli animali di Stubbs, collocati in paesaggi idilliaci) non sembrano inferiori a quelle di altri più celebri e famosi, pure in mostra. Si intende, per chiarire, i più noti Gainsborough e Constable, che piacciono di solito molto. Ma, anche qui, puntando l’occhio e la mente agli obiettivi della mostra, cosa si può vedere di diverso, di più esplicativo e significativo? Tante cose ma una soprattutto: la malinconica nostalgia di Gainsborough per una campagna già allora d’altri tempi, con i suoi boschetti illuminati da luci crepuscolari, fattorie tra i campi, qualche carretto che attraverso un fossato dove si riflettono chiarori di cieli frequentemente nuvolosi; molto poetici insomma, o forse piuttosto lirici. Niente a che vedere con quel piglio di modernità industriale che già animava la società londinese di fine Settecento, con addirittura le prime ciminiere di fabbriche molto inquinanti, che però allora non facevano effetto, data l’ignoranza degli effetti sulla salute, e che già apparivano in alcune pitture un po’ ardite, per l’epoca. E, girando invece lo sguardo su Constable, si può vedere una diversità di tono, di ritmo cromatico, di concretezza in paesaggi che interessarono poi i pittori di Barbizon e gli Impressionisti, con la ricerca realistica dei particolari, e soprattutto degli effetti luministici, che indusse poi l’artista a rappresentare addirittura le nuvole soltanto, in accumuli di luci e di vapori, come farà anche Turner, sciogliendo per esempio le visioni di Venezia in nebbie lattiginose o dorate. Non è casuale questo richiamo a Venezia, perché molta pittura inglese subisce le suggestioni di quella italiana, della grande stagione rinascimentale e cinquecentesca veneziana. Il grand tour di molti pittori inglesi in quel periodo ne è testimonianza. E l’acquerello (diversi in mostra) è l’elemento che dilaga presso quasi tutti gli artisti, che possono riprendere rapidamente scorci di rovine romane e della pianura selvaggia tra Roma e Napoli. Così, per far comprendere meglio questi accostamenti e riferimenti e richiami, ecco esposti i vedutisti italiani come Canaletto e le fantasie stregonesche di Füssli (accostamento, questo, un po’ discutibile); e – per far notare addirittura il salto anche sociale ed economico espresso in pittura – i dipinti che celebrano il tempio della nuova civiltà laica, quella dell’economia e del denaro (come gli interni della Banca d’Inghilterra); poi, per finire, le visioni del nuovo mondo, che celebrano le avventurose espansioni coloniali britanniche, come la Tahiti, per la verità un po’ troppo idilliaca, di William Hodges. La mostra è allestita presso la Fondazione Roma Museo (Pal. Sciarra, v. M. Minghetti, 22) ; è aperta fino al 20 luglio (anche lunedì ore 14-20) ed è accompagnata da un bel catalogo Skira in italiano e inglese.

Gli Appuntamenti

Categorie

Categorie

Terra

Equilibrio fra la natura più vera e le meraviglie dell’uomo.

Lifestyle

Tendenze, idee, amicizia e passioni per colorare la vita.

Gusto

Qualità della vita in punta di lingua.

Intervista

Sapienza, esperienza, passione, carisma.

Eco & Smart

Sostenibilità del buon vivere e tecnologia per lo sviluppo.

L’ultimo numero

Sfoglia

Sfoglia l’ultimo numero online cliccando sulla copertina

E' possibile consultare o richiedere gli arretrati cliccando sulla copertina desiderata