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19 Maggio 2016

I Dogon, con il grande Sacerdote Hogon

Di Redazione

6a00e54f0b1990883400e54ff1d4dc8833-150wiINTERPRETATI A VENEZIA DA UN FISICO NUCLEARE DI BOLOGNA

Porte, maschere, statue, collane, bronzi e altri oggetti rituali di questa ancora misteriosa popolazione del Mali saranno esposti nell’affascinante sede del Museo di Storia Naturale di Venezia fino al 21 agosto. La preziosa collezione privata di Umberto Knycz, fotografo ed esploratore appassionato delle culture africane, offre l’opportunità di incontrare la cultura Dogon e conoscere un patrimonio sconosciuto, guardando l’Africa dal punto di vista artistico. I Dogon sono una popolazione del Mali, circa 240.000 persone che occupano la regione della falesia di Bandiagara a sud del fiume Niger e alcuni territori attigui al Burkina Faso. Sapienti agricoltori adattatisi nel tempo a vivere nelle falesie trasformate in forme di architettura, i Dogon sono rimasti relativamente isolati dal resto del paese fino al Novecento. Questo ha consentito loro di sviluppare nel corso di cinque secoli una cultura assolutamente originale, lungamente e tenacemente difesa e preservata: animisti, con una rigida organizzazione sociale e religiosa, vivono sospesi tra terra e cielo, esprimendosi attraverso danze e cerimonie rituali. I loro antenati hanno lasciato sulle pareti delle caverne di Bandiagara pitture e pittogrammi che solo recentemente sono stati decifrati poiché sotto la custodia dell’Hogon, alto sacerdote custode della sapienza. A interpretare il significato della simbologia dogon è Vincent Togo, dogon di origine e oggi fisico nucleare a Bologna. Proprio dall’incontro tra Vincent Togo e Umberto Knycz è nata questa esposizione che valorizza il materiale raccolto in lunghi anni di appassionata ricerca, nel corso di ben sei spedizioni nelle zone della falesia del Bandiagara. Il pregio di questa esposizione è di fornire una dettagliata prospettiva sulle espressioni artistiche dei Dogon. Uno sguardo che va oltre l’aspetto estetico, anche per apprendere qualcosa di più non solo degli altri ma anche di noi stessi. Chi ammira un’opera africana è per lo più portato a ritenere che si tratti dell’espressione primitiva e spontanea di qualche anonimo spirito. Non è così: è piuttosto la rappresentazione di divinità , volti di donne e uomini, maschere, oggetti che mettono in contatto il mondo terreno con una dimensione invisibile. Si possono osservare feticci, realizzati artigianalmente partendo da ciò che la natura offre, come tronchi, pietre, pelli di animali, manifestazioni di pratiche magiche, raffiguranti spiriti o antenati. Tante le maschere da ammirare, che assumono un proprio significato solo quando indossate durante i rituali.

L’esposizione, intitolata I Dogon tra cielo e terra, è visitabile con l’orario e il biglietto del Museo di Storia Naturale.

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