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16 Maggio 2014

L’isola del silenzio, diario di un viaggio in Barbagia

Di Redazione

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Elisa Mazzagardi – Un gregge di pecore attraversa la strada statale, sono le otto del mattino, apro la finestra con entusiasmo per gustarmi lo spettacolo e si palesa un miracolo, è Bitti. Come un villaggio del presepe di case di pietra si distende ai miei occhi nella sua conca in una luce perlacea ammantata dalla foschia leggera sollevata dalle due gocce di pioggia che durante la notte l’hanno innaffiata come fosse uno splendido fiore. Non solo lo spettacolo di pura poesia accarezza gli occhi, ma il profumo pungente e aromatico di elicriso solletica lo spirito. Certo non raccontare queste tue emozioni ai locali, ti guarderanno con un sorriso quasi divertito  e incredulo, per loro quella è la vita di tutti i giorni, non è quella che noi frustrati cittadini amiamo credere sia “gusto della tradizione”. Non ha grandi fronzoli la tradizione in Sardegna, è la vita e basta, senza pretese, semplice nella sua meravigliosa bellezza, come un olivastro secolare che affonda le sue radici nella terra e gode di quel po’ di sole che gli arriva e senza chiedere di più si appoggia alle spinte del vento che lo plasma. La raccontano le tante ricostruzioni della vita contadina disseminate sul territorio, come il Museo della Civiltà Contadina e Pastorale della città e l’annesso Museo del Canto a Tenore, splendidamente concepito per raccontare in musica cosa sia veramente Sardegna, ma soprattutto la raccontano i gesti, le tradizioni immateriali che per secoli sono passate di padre in figlio a condizionare una cultura concreta di contatto vivo con la Natura, di condivisione con gli altri.

A innamorarsi della Sardegna sono capaci tutti, basta pensare all’acqua cristallina, alla roccia bianca di calcare brillante, alle spiagge di zucchero a velo, pare impossibile credere che all’interno di quello scrigno ci sia qualcosa di ancora più bello, non solo terra, ma territorio, dove le usanze e l’uso comune sono la stessa cosa, dove ancora si possono incontrare quelle donne che Grazie Deledda raccontava con occhi di egizie vestite di nero a portare un lutto che non ha limiti di tempo. Il momento giusto per visitare la Barbagia è proprio questo, quando inaspettatamente la quinta del paesaggio che si distende tra gli altipiani e le vette di granito del Gennargentu (“porta d’argento” 1384metri) si fregia di verdi e di blu profondi e grigi del cielo, quando le nuvole si fanno di platino e il vento attenua la sua forza, quando lavande, asfodeli e orchidee selvatiche colorano la macchia di improvvisi scoppiettii di viola e rosa. Tra poco il sole tingerà queste radure di ocra macchiato solo dal nero dei dei fusti dei sugheri e del verde argenteo delle loro chiome sotto cui troveranno sollievo nel riposo i greggi di pecore. Costeggiando il parco Regionale dell’Oasi di Tepilora, con le sue meravigliose cascate occorre puntare la bussola a Nord Est sulla S.S 389 per raggiungere il più grande complesso cultuale del Mediterraneo preistorico: Romanzesu. Infondo a un breve tratto sterrato si giunge alla radura d’accesso all’area archeologica. (ingresso a pagamento orario 9-13, 15-18)L’abitato sorge nel corso del XVI secolo a. C. (media età del bronzo) come un semplice aggregato di capanne intorno alla sorgente che verrà utilizzata più tardi come tempio a pozzo. I nureghe sono per lo più complessi circolari di varia ampiezza  a un solo livello, con ingresso rivolto a Sud Est e focolare centrale si sviluppano per lo più di queste forme intorno a centri generalmente ricchi di materie prime. Intorno al XIII sec. a. C. Romanzesu conosce un’intensa attività edilizia che sia manifesta nella realizzazione di numerosi monumenti a destinazione cultuale. Non mancano templi a megaron a pianta rettangolare in cui sono stati rinvenute grandi quantità di suppellettili votivi, ma senz’altro il più significativo è il Tempio a pozzo con gradonate per le abluzioni rituali collettive che si svolgevano nella grande vasca circolare. La pratica dell’abluzione era dedicata ai riti dell’ordalia dell’acqua attraverso cui i nuragici chiedevano l’intervento divino nel giudicare, in particolare, i reati contro la proprietà.

La visita di Romanzesu è un momento irrinunciabile nell’itinerario che ci porta a scoprire la Barbagia, non fosse altro perché le campagne di scavo condotte in questo complesso a partire dagli anni 80, dirette da Maria Ausilia Fadda, grazie alla collaborazione tra Soprintendenza Archeologica per le Province di Sassari e Nuoro e i comune di Bitti, hanno portato alla luce solo un diciottesimo della vasta area insediativa di circa sei ettari che costituisce ad oggi il più esteso “centro cerimoniale comunitario”conosciuto dell’antichità mediterranea. Il bosco di sughere che lo avvolge, insieme al bellissimo gioco di muschi e licheni che ricoprono gran parte delle superfici, e al canto incessante degli uccelli, oggi contribuiscono a creare uno scenario senza eguali: suggestivo e misterioso da cui diventa impossibile staccarsi. Sulla strada verso sud rivolti a Nuoro mi capita tra le mani il passo di un articolo di Grazia Deledda, comparso su La Nuova Antologia del 1901.

“L’interno del paese è di una primitività più che medioevale, con strade strette e mal lastricate, viottoli, casupole di granito con scalette esterne, cortiletti, pergolati, porticine spalancate dalle quali si intravedono cucine nere e interni poveri ma pittoreschi. Nuoro ha un corso lastricato, chiese, caffè, ecc., ma ciò che può interessare è l’interno del paese, le casupole di pietra, nido o covo d’un popolo intelligente e frugale, che lavora e vive tutto l’anno di pane d’orzo, che crede in Dio e odia il prossimo per ogni più piccola offesa.”. Il tempo non è passato in alcuni angoli di Nuoro, nel quartiere San Pietro e nelle sue strade in salita bianche di luce e così silenziose che avrebbero ispirato qualsiasi poeta, il tempo non è passato nelle piante di fico che si inerpicano nei muri dei piccoli cortili, nella brezza che rinfresca gli angoli all’ombra, nelle frasi dei poeti che anno dato voce a questa città e che ornano i palazzi. Il tempo è fermo in piazza Satta dove le rocce di granito naturale racchiudono i piccoli capolavori di Costantino Nivola, ma basta prendere l’unica strada in discesa per arrivare al Man_Museo d’Arte Provincia di Nuoro, là il tempo non si ferma mai, lo spirito non trova sosta è spronato, istigato, animato da un’amore per l’arte che coinvolge anche il passante più svogliato. Nuoro è una piccola opera d’arte sulle pendici del Monte Ortobene, il teatro di feste paesane che attirano migliaia di turisti affascinati dal colore di quella tradizione, dai costumi dagli ori, dal profumo delle specialità eno-gastronomiche. Verso sud est resta, infine, un altro angolo caratteristico svincolato dalle rotte del turismo di massa e affascinante nella sua tiepida bellezza: è Oliena. A Oliena scopri una nuova realtà, tipicamente barbaricina, quella dell’ospitalità, un’accoglienza unica che si identifica nella ormai tradizionale ricorrenza di “Cortes Apertas”, detto in italiano “Case aperte”, che si terrà a settembre e darà modo di scoprire i punti di forza della Barbagia storica e tradizionale anche negli aspetti produttivi della gastronomia, nella calorosa accoglienza dei padroni di casa che raccontano l’antica arte della preparazione del formaggio. Solo in quell’occasione sarà possibile visitare Casa Calamida un complesso edilizio che ha origine nel ‘600. La tipologia di questo edificio è quella tradizionale dell’architettura signorile seicentesca, con stalle e alloggi di servizio nel piano inferiore e stanze al piano superiore accessibile attraverso una scala esterna monumentale. La facciata ornata da finestre e portali di gusto tardo cinquecentesco, in trachite, danno accesso agli interni interamente dipinti nel blu della tradizione olienese, e a stanze affrescate. Casa Calamida, detta così dal nome degli antichi proprietari,culmina con un’altana con archi a tutto sesto che domina la città aprendo la vista a un bello scenario cittadino. L’unico limite è che questo piccolo capolavoro resta privato e difficilmente visitabile.

Ci si consolerà di certo con le favolose primizie locali, dall’olio, al vino dei Fratelli Puddu sapori forti e delicati di una terra non solo amata, ma venerata per secoli.

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